30

Ormai la loro era una corsa contro il tempo. Pitt era certo che ci fossero degli esplosivi sotto la carena. I Martin li avevano scoperti, ma erano stati assassinati prima di poter avvertire il comandante Baldwin. Chiamò Giordino alla radio. «Puoi sospendere la ricerca e richiamare gli ispettori. Gli ordigni esplosivi non sono all'interno della nave.»

Al si limitò ad accusare ricevuta, precipitandosi nella plancia. «Che cosa sai che io non so?» chiese a Dirk, entrando come una valanga, con Rand O'Malley a ruota.

«Abbiamo appena saputo che i sub sono stati assassinati.»

«E con questo abbiamo la certezza», borbottò Giordino con rabbia.

«I sub che ispezionavano l'esterno dello scafo?» volle sapere O'Malley.

Pitt annuì. «Comincio ad avere l'impressione che gli ordigni esplosivi dovessero esplodere mentre eravamo in acque profonde.»

«Cioè dove siamo adesso», mormorò Giordino, fissando a disagio il profondimetro.

Pitt si rivolse a Baldwin, che era in piedi vicino al quadro comandi insieme col timoniere. «Quanto manca prima di raggiungere le acque basse?»

«Ancora venti minuti, e dovremmo superare l'orlo della fossa, raggiungendo la scarpata continentale», rispose Baldwin, col viso che cominciava a mostrare segni di stress, da quando si era convinto che il suo battello era davvero in pericolo. «Ancora dieci minuti, e potremo emergere, così sarà possibile raddoppiare la velocità per arrivare in acque basse.»

A un tratto il marinaio che era in piedi vicino alla console principale del sommergibile esclamò: «Comandante, sta succedendo qualcosa ai moduli sganciabili per l'evacuazione dei passeggeri».

Baldwin e O'Malley, in preda allo shock, si avvicinarono per guardare la console. Le sedici spie luminose che rappresentavano i moduli sganciabili per l'evacuazione erano tutte rosse, tranne una che era ancora verde. «Sono stati attivati.»

«Prima che chiunque potesse imbarcarsi», aggiunse O'Malley con aria truce. «Ora non potremo più allontanare i passeggeri e l'equipaggio.»

La prospettiva di un'esplosione nello scafo, con l'acqua che si riversava all'interno e trascinava inesorabilmente il battello nell'abisso, con settecento persone tra passeggeri e membri dell'equipaggio, era troppo orribile da contemplare, ma troppo realistica per liquidarla in modo sbrigativo.

Pitt sapeva che chiunque avesse attivato i moduli aveva probabilmente abbandonato il battello su uno di questi, il che voleva dire che gli esplosivi potevano innescarsi da un momento all'altro. Si trasferì davanti allo schermo del radar, affiancato dal display del sonar a scansione laterale. La scarpata continentale saliva, ma troppo lentamente: sotto di loro c'erano ancora trecento metri d'acqua, come minimo. Lo scafo del Golden Marlin era fatto per resistere alla pressione dell'acqua anche a quella profondità, ma qualsiasi speranza di salvezza sarebbe stata pressoché impossibile. Tutti fissavano il profondimetro, contando mentalmente i secondi che scorrevano.

Il fondo saliva con lentezza angosciosa. Restavano appena una trentina di metri prima che il battello potesse emergere. Nella sala comandi si sentì un sospiro collettivo di sollievo quando il Golden Marlin superò il limite della scarpata continentale: il fondo ormai si trovava 182 metri sotto lo scafo. L'acqua all'esterno degli oblò era molto più chiara, e si vedeva scintillare al sole la superficie del mare agitato.

«Il fondo è a 167 metri e sale», annunciò Conrad.

Aveva appena pronunciato quelle parole che il battello fu scosso da un fremito di straordinaria violenza. Ci fu solo il tempo di reagire, di contemplare il disastro inevitabile, poi il battello si avvitò, sfuggendo del tutto al controllo. I grandi motori, così evoluti sul piano tecnico, si fermarono, mentre il mare si avventava impetuoso nei due squarci causati dagli esplosivi.

Il Golden Marlin non aveva più spinta, andando alla deriva nella corrente blanda, ma sprofondando inesorabilmente nelle acque. Tonnellate d'acqua cominciavano a entrare nello scafo dagli squarci, la cui posizione era ancora sconosciuta agli uomini chiusi nella sala comandi. La superficie sembrava così illusoriamente vicina che si aveva l'impressione di poterla toccare con la punta delle dita.

Baldwin, però, non si faceva illusioni. Il suo battello stava colando a picco. «Chiami la sala macchine e chieda al capo di valutare i danni», ordinò in tono brusco al secondo ufficiale.

La risposta giunse quasi subito. «Il direttore di macchina riferisce che l'acqua sta invadendo la sala macchine. Anche il comparto dei bagagli si sta allagando, ma lo scafo è ancora intatto. Ha azionato le pompe al massimo della capacità. Inoltre riferisce che il sistema di pompe delle casse d'assetto è stato danneggiato dallo spostamento d'acqua dello scoppio e riversa acqua nelle casse attraverso i tubi di scarico. L'equipaggio lotta per contenere l'afflusso d'acqua, ma il livello sale troppo in fretta e può darsi che debbano evacuare la sala macchine. Mi spiace, signore, il capo dice che non è più in grado d'impedire che il battello perda l'assetto che gli consente la galleggiabilità.»

«Oh, mio Dio», mormorò un giovane ufficiale fermo vicino al quadro comandi. «Stiamo affondando.»

Baldwin si riprese subito. «Dica al capo di chiudere tutte le porte stagne, laggiù, e di tenere in funzione tutti i generatori il più a lungo possibile.»

Poi guardò Pitt, che restava in silenzio, inespressivo, e gli disse: «Ebbene, signor Pitt, immagino che per lei sia venuto il momento di pronunciare la fatidica frase: 'Glielo avevo detto'».

Pitt era impietrito, intento a riflettere freneticamente: il suo era il viso di un uomo che stava considerando ogni possibile evenienza, ogni possibilità di salvare la nave e i passeggeri. Giordino aveva già visto molte volte quell'espressione. Pitt scosse lentamente la testa. «Scoprire di avere ragione non mi dà la minima soddisfazione.»

«Il fondo si avvicina.» Il comandante in seconda Conrad non aveva mai perso d'occhio i display del radar e del sonar a scansione laterale. Aveva appena finito di parlare, quando il Golden Marlin urtò il fondo con uno scricchiolio spaventoso e sonori gemiti di protesta, mentre la carena si posava sulla melma, sollevando un'enorme nube scura che oscurò la visuale di cui si godeva dagli oblò.

I passeggeri non avevano bisogno di una moviola per capire che stava accadendo qualcosa di tragico, ma, dal momento che i ponti a loro destinati restavano isolati dall'acqua e nessuno dei componenti dell'equipaggio aveva l'aria spaventata, non si lasciarono prendere dal panico: visto che quello era il loro primo viaggio in un sommergibile, nessuno di loro si rendeva conto del pericolo che stavano correndo. Il comandante Baldwin parlò dall'altoparlante, assicurando a tutti che, anche se il Golden Marlin aveva perso potenza, la situazione sarebbe tornata ben presto alla normalità.

Quella storia, però, non convinse i passeggeri e i membri dell'equipaggio, che avevano notato come quasi tutti i locali destinati all'imbarco nei moduli fossero vuoti. Alcuni rimasero nei paraggi, aggirandosi con aria confusa; altri continuarono a guardare dagli oblò i pesci che erano apparsi non appena si era depositato il limo; altri ancora si rifugiarono nel bar, ordinando i drink offerti dalla casa.

Il comandante Baldwin e i suoi ufficiali cominciarono a studiare le procedure d'emergenza contenute nei manuali della compagnia, scritti da persone che non sapevano minimamente in che modo affrontare un'emergenza come quella di un sommergibile adagiato sul fondo con settecento persone a bordo. Mentre si esaminava lo scafo per accertare che fosse ancora a tenuta d'acqua e si chiudevano le porte stagne, il personale della sala macchine mise in funzione le pompe per tenere a bada l'acqua che affluiva nella sala macchine e nel compartimento bagagli. Per fortuna, tutti i sistemi sembravano esenti dai danni prodotti dall'esplosione, tranne quello di propulsione.

Baldwin si trovava nella sala radio, con l'aria stordita. Facendo un grande sforzo per dominarsi, si mise in contatto, nell'ordine, con Lasch, al quartier generale della compagnia, con la guardia costiera e con qualunque nave nel raggio di cinquanta miglia. Lanciò l'SOS, indicando la posizione del Golden Marlin. Fatto questo, si accasciò sulla sedia con la testa tra le mani. Sulle prime, fu sopraffatto dal pensiero che la sua lunga carriera in mare sarebbe finita. Poi comprese quanto poco contasse la sua carriera in quelle circostanze: il suo primo dovere era nei confronti dei passeggeri e dell'equipaggio. «Al diavolo la carriera», mormorò. Alzandosi e lasciando la plancia, andò a. visitare la sala macchine per ottenere un rapporto completo, poi fece il giro del battello per rassicurare i passeggeri, sostenendo che non correvano rischi immediati e raccontando che c'era un problema con le casse d'assetto e che le necessarie riparazioni erano già in corso.

Insieme, Pitt, Giordino e O'Malley scesero sul ponte dei moduli destinati all'evacuazione, dove O'Malley cominciò ad aprire i pannelli per l'ispezione e a controllare il sistema. C'era qualcosa di particolarmente rassicurante in quel massiccio irlandese, che conosceva il proprio lavoro, e lo conosceva bene. Non sprecava neanche un istante. Meno di cinque minuti dopo l'inizio dell'ispezione, si allontanò dai pannelli di controllo aperti, sedendosi su una sedia e lasciandosi sfuggire un sospiro. «Chiunque abbia attivato il sistema di evacuazione sapeva il fatto suo. Ha escluso i circuiti collegati alla plancia, ricorrendo ai comandi manuali di emergenza. Per fortuna, pare che uno dei moduli non si sia sganciato.»

«È una ben magra consolazione», mormorò Giordino.

Pitt scosse lentamente la testa, sentendosi sconfitto. «Sono sempre stati due passi avanti a noi, fin dall'inizio. Devo ammettere che meritano pieni voti per la pianificazione.»

«Chi sono?» domandò O'Malley.

«Uomini capaci di assassinare dei bambini con la stessa facilità con la quale lei e io uccideremmo le mosche.»

«Non ha senso.»

«Non per chi è sano di mente.»

«Abbiamo ancora un modulo per allontanare i bambini», fece notare Al.

«Spetta al comandante impartire l'ordine», gli ricordò Dirk, fissando il modulo rimanente. «Il problema è: quanti possiamo farcene entrare?»

Un'ora più tardi, arrivò sul posto una motovedetta della guardia costiera, che gettò gli ormeggi sulla boa di segnalazione color arancio inviata in superficie dal Golden Marlin insieme con una linea telefonica, e aprì le comunicazioni col battello. Soltanto allora Baldwin cedette il comando al secondo, per riunire i passeggeri nel teatro di bordo e spiegare la situazione.

Si concentrò sul tentativo di minimizzare i rischi e dichiarò che era prescritto dal regolamento della compagnia che, in caso di emergenza, si dovessero inviare in superficie i più giovani. Nessuna di quelle notizie trovò una buona accoglienza. Il comandante fu bersagliato di domande e, quando gli animi si scaldarono, non poté fare altro che cercare di sedare la collera e il terrore dei passeggeri.

Prima che fosse caricato il modulo, Pitt e O'Malley si sedettero davanti a un computer nell'ufficio del commissario di bordo per calcolare quante persone poteva trasportare oltre i limiti di sicurezza indicati dal produttore, senza per questo compromettere le possibilità di emersione.

Mentre erano assorti nel loro lavoro, Giordino li lasciò per andare in cerca di Kelly.

«Quanti bambini e ragazzi ci sono a bordo?» chiese O'Malley.

Controllando la lista dei passeggeri stilata dal commissario di bordo, Pitt calcolò il totale. «Cinquantaquattro hanno meno di diciotto anni.»

«I moduli sono fatti per trasportare cinquanta persone con un peso medio di 72,6 chili, per un totale di 3630 chili. Basta superarlo, e non salgono più in superficie.»

«Possiamo ridurre quella cifra della metà. Quei ragazzi pesano circa 36 chili, in media.»

«Ora che siamo scesi a 1815 chili, c'è posto anche per qualcuna delle madri», disse O'Malley, anche se gli sembrava strano discutere di quali vite si potessero salvare.

«Calcolando un peso medio di 63,5 chili, abbiamo posto per quasi ventinove madri.»

O'Malley estrapolò i dati relativi alle famiglie e al numero dei figli. «A bordo ci sono ventisette madri», disse con una punta di speranza. «Grazie a Dio, possiamo evacuarle tutte insieme coi figli.»

«Dobbiamo ignorare la nuova tradizione di tenere le famiglie unite», si rammaricò Pitt. «Gli uomini pesano troppo.»

«Sono d'accordo», convenne O'Malley.

«Comunque c'è ancora posto per un paio di persone.»

«Non possiamo certo chiedere agli altri 617 tra passeggeri e membri dell'equipaggio di tirare a sorte tra loro.»

«No», riconobbe Pitt. «Dobbiamo mandare su qualcuno, uno di noi, che possa fornire un rapporto dettagliato sulla situazione quaggiù, visto che non può essere interpretata in modo completo attraverso le comunicazioni tradizionali.»

«Io sono più importante qui», disse con fermezza O'Malley.

In quel momento rientrò Giordino, con un'espressione tutt'altro che contenta. «Kelly è scomparsa», disse semplicemente. «Ho messo insieme un gruppo di ricerca, ma non riusciamo a trovarla.»

«Dannazione», imprecò Pitt. Non fece altre domande a Giordino, perché non dubitava neanche per un istante che Kelly fosse davvero scomparsa.

L'istinto gli diceva che era vero. A un tratto, gli apparve nella mente la foto di un passeggero. Richiamando a schermo la lista dei passeggeri inserita nel computer, digitò il nome di Jonathan Ford.

Sul monitor apparve la foto scattata a Ford mentre scendeva dalla passerella sulla coperta del battello. Subito dopo, Pitt premette il tasto della stampa e attese che la stampante sfornasse un'immagine a colori. Mentre O'Malley e Giordino guardavano in silenzio, lui studiò quel volto, confrontandolo dentro di sé col pilota del Fokker rosso che aveva incontrato al raduno, prima del duello aereo. Portando l'immagine su una scrivania, prese una matita e cominciò a ombreggiare il viso dell'uomo. Non appena ebbe finito, si sentì come se un pugno lo avesse colpito allo stomaco.

«Era qui a bordo, e me lo sono lasciato sfuggire.»

Disorientato, O'Malley domandò: «Ma di chi sta parlando?»

«Dell'uomo che per poco non ha ucciso me insieme con un aereo carico di bambini a New York, e che ora ci ha costretti a posarci sul fondo senza possibilità di aiuto, sganciando i moduli per l'evacuazione ancora vuoti. Temo che sia fuggito con uno di quelli, portando con sé Kelly.»

Giordino gli posò una mano sulla spalla. Capiva benissimo come si sentiva Pitt. Anche lui aveva la sensazione di aver fallito, e quell'idea lo tormentava.

Dirk prese nota dentro di sé del numero della cabina di Ford e si precipitò lungo il corridoio, seguito da Al e O'Malley. Non era in uno stato d'animo tale da perdere tempo chiedendo alla cameriera la chiave della cabina, così sfondò la porta con un calcio. La cameriera aveva preparato il letto, ma non c'era nessuna traccia di bagagli. Pitt aprì i cassetti dei mobili. Erano vuoti. Spalancando le ante dell'armadio, Giordino notò qualcosa di bianco sul ripiano più alto: allora si protese e tirò giù un rotolo spesso di fogli di carta, che sparse sul letto.

«I progetti del battello», mormorò O'Malley. «Dove se li è procurati?»

Pitt si sentì percorrere da un brivido, rendendosi conto che il rapimento di Kelly era stato solo uno dei tanti incarichi affidati a Ford. «Può contare su un sistema eccellente di raccolta delle informazioni. Ha potuto familiarizzare con tutti i sistemi e le parti dell'apparecchiatura, ogni ponte, paratia e struttura, fin nei minimi dettagli.»

«Il che spiega come mai sapeva dove collocare gli esplosivi e in che modo attivare manualmente i moduli per l'evacuazione», dedusse O'Malley.

«Non c'è nient'altro che possiamo fare, tranne informare la guardia costiera in superficie perché avvii le ricerche di una nave che incrociava nella zona per prendere a bordo quest'uomo e Kelly all'uscita dal modulo», concluse Giordino.

Costretto ad accettare l'orribile realtà della fuga di Ford e del rapimento di Kelly, Pitt provava un profondo senso d'inadeguatezza e inutilità, perché gli era impossibile aiutarla o cercare di liberarla. Perciò si lasciò cadere su una sedia, avvilito e pervaso da un gelo mortale al pensiero di un'altra angosciosa realtà, che non aveva nulla a che fare con la sorte di Kelly: tutti i moduli erano perduti, e non c'era modo di recuperarli e riempirli di passeggeri, quindi non intravedeva molte possibilità di salvare le altre seicento e più anime che erano rimaste a bordo del battello posato sul fondo marino. Rimase lì, quasi inerte, per alcuni istanti, poi, guardando il viso silenzioso di O'Malley, carico di aspettativa, disse piano: «Lei deve conoscere ogni angolo di questo battello». Era un'affermazione, più che una domanda.

L'irlandese esitò, non sapendo dove voleva andare a parare. «Sì, lo conosco meglio di chiunque altro.»

«Esiste un altro sistema di evacuazione, oltre ai moduli?»

«Non capisco bene che cosa intende.»

«Il cantiere che lo ha costruito non ha installato una garitta di salvataggio per l'evacuazione dei passeggeri?»

«Si riferisce a un portello dalla configurazione speciale nella parte superiore dello scafo?»

«Proprio così.»

«Sì, esiste, ma è impossibile mettere in salvo seicento persone attraverso quel portello prima che si esaurisca l'aria.»

«Perché no?» chiese Giordino. «Mentre parliamo, sono già in corso le operazioni di recupero.»

«Ma come, non lo sapete?»

«Se non ce lo dice lei», ribatté Pitt in tono brusco.

«Il Golden Marlin non può restare in immersione più di quattro giorni, dopodiché l'aria diventa in breve tempo irrespirabile.»

«Io credevo che i circuiti per rigenerare l'aria rinnovassero l'atmosfera interna a tempo indefinito», esclamò Giordino.

O'Malley scosse la testa. «Sono molto efficienti e rigenerano l'aria in modo eccellente, ma dopo qualche tempo l'anidride carbonica espirata da settecento esseri umani in un ambiente circoscritto diventerebbe eccessiva per i deumidificatori e i filtri. A quel punto il sistema di riciclaggio dell'aria comincerebbe a cedere.» Alzò le spalle con aria cupa. «E comunque tutte queste ipotesi vanno a farsi benedire se l'acqua raggiunge il generatore e perdiamo potenza. A quel punto l'impianto di rigenerazione dell'aria si disattiva, e amen.»

«Quattro giorni, se tutto va bene», concluse lentamente Pitt. «Tre e mezzo, in realtà, visto che siamo in immersione già da dodici ore.»

«La marina militare degli Stati Uniti ha un veicolo di soccorso per le alte profondità che potrebbe intervenire», ricordò Giordino.

«Sì, ma mobilitarlo, trasportarlo qui insieme con la squadra operativa e poi organizzare le procedure di recupero può richiedere quattro giorni, anche a voler essere ottimisti.» O'Malley parlava in tono ponderato ed enfatico. «Prima che riescano a calarlo in acqua e a stabilire il collegamento con la garitta, sarà troppo tardi per salvare la maggior parte di noi.»

Pitt si rivolse a Giordino. «Al, devi andare su con le madri e i bambini.»

L'amico rimase a guardarlo per qualche istante, incredulo e sconcertato; poi, quando si rese conto del significato delle parole di Pitt, rispose in tono indignato: «Il figlio della signora Giordino non è un codardo, e non si nasconde sotto le gonne delle donne».

«Credimi, amico mio, puoi renderti molto più utile per salvare tutti se collabori con me dalla superficie», cercò di convincerlo Pitt.

Al stava per replicare: «Perché non vai tu?» ma ci ripensò, rendendosi conto che il ragionamento di Dirk era valido. «Okay, ma, una volta arrivato in superficie, che cosa dovrei fare?»

«È essenziale ottenere una linea aperta per purificare l'aria quaggiù.»

«E come faccio a trovare una manichetta lunga centocinquanta metri, una pompa d'aria capace di pompare aria sufficiente per tenere in vita 617 persone fino al momento di trarle in salvo e un metodo per collegarla al battello affondato?»

Pitt guardò il vecchio amico con un sorriso malizioso. «Se ti conosco bene, ti verrà in mente qualcosa.»

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